Versione integrale dell’intervista a Stefano Vernole, redattore di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, pubblicata su “L’Adige” del 21 settembre 2012.
Siria: 17.000 le vittime accertate. Un massacro: di fronte ai morti e alla guerra però occorre non prendere posizioni “manichee” e pensare che “buoni e cattivi” siano bene identificabili. Sopratutto non si deve cedere a semplificazioni che vorrebbero in Sira una delle “tante” primavere arabe” dove un popolo oppresso lotta contro un dittatore “cattivo”. E’ quanto sostengono, con punti di vista diversi, Stefano Vernole, redattore di “Eurasia” e Mario Villani, commentatore di vicende mediorientali e testimone diretto dell’attuale situazione.
Saranno entrambi a Volano il prossimo Venerdì 21 settembre alle ore 20.30 presso l’Aula magna delle scuole elementari (Via Raffaelli) invitati dalla Associazione “La Torre” per parlare di cosa stia realmente accadendo in Siria oggi.
“In questo momento in Siria le forze fedeli al Presidente Bashar Al Assad sembrano avere la meglio nei confronti dei ribelli dell’Esercito Libero Siriano (ELS) – ci ha detto Vernole – ma non è certo facile fare previsioni su quanto accadrà nell’immediato futuro. Dal mio punto di vista è probabile che si assisterà ad un’accelerazione della guerra durante il passaggio dei poteri presidenziali negli Stati Uniti (a prescindere dalla vittoria di Obama), per tentare di raggiungere l’obiettivo finale del conflitto scatenato da oltre un anno contro il Governo di Damasco, cioé l’Iran, principale alleato della Siria nella regione. I precedenti tentativi di giungere alla pace si sono risolti in un nulla di fatto, a causa dell’ostilità di alcuni paesi che preferiscono mantenere una situazione di ostilità e la Siria destabilizzata. Se davvero si fosse voluto raggiungere un accordo si sarebbe partiti dalle medesime considerazioni espresse sia dalla missione della Lega Araba sia dagli osservatori delle Nazioni Unite guidati da Kofi Annan, per i quali “gran parte delle violenze sono riconducibili a entità armate e gruppi di opposizione armati coinvolti nell’uccisione di civili”. Per questa ragione entrambe le missioni sono state sospese e dubito che l’attuale tentativo diplomatico, guidato da Lakhdar Brahimi (uomo storicamente vicino ai sauditi) avrà miglior fortuna; come ha ribadito lo stesso Papa Ratzinger durante la sua recente visita a Beirut, bisogna impedire l’afflusso di armi in Siria, ma gli sponsor occidentali, sionisti e islamici dei ribelli siriani non ne hanno la minima intenzione … Le cifre delle vittime sono difficili da quantificare, può essere che quella di 17.000 si avvicini alla realtà ma tenendo ben presente cosa sta davvero accadendo. Non si può prendere ad esempio il rapporto all’ONU sui diritti umani stabilito da Karen Kining Abu Zaid, che attribuisce le uccisioni esclusivamente all’esercito di Assad, in quanto si tratta della visione della direttrice del Middle East Policy Council,finanziato da Exxon e da altre multinazionali statunitensi.
Teniamo presente che solo nel periodo compreso tra il 17 febbraio e il 12 luglio 2012 sono stati rapiti o sono scomparsi 1.975 soldati o appartenenti alle Forze dell’Ordine del Governo di Damasco, cifre che non comprendono coloro che sono stati liberati dalle autorità competenti o i cui corpi sono stati ritrovati dopo essere stati uccisi dai gruppi terroristici armati anti-Assad.
Quanto pesa la questione “religiosa” e quanto invece sono forze esterne, dinamiche internazionali, a non permettere una soluzione pacifica?
Credo che, così come accaduto per altre crisi scoppiate in passato (Jugoslavia, Libia ecc.) le dinamiche internazionali superino di gran lunga quelle interne, che tuttavia esistono. Prolungandosi per oltre un anno i combattimenti, le tensioni tra le varie comunità si sono effettivamente esacerbate e rischiano sempre più di degenerare in una sorta di guerra civile tra le differenti comunità etniche e religiose, così come accaduto in passato in Libano e oggi in Iraq. Questo è il frutto più avvelenato della guerra voluta essenzialmente da alcuni paesi occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, in accordo con altre nazioni dell’area, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele.
Con la scusa di voler proseguire il ciclo delle “rivolte arabe”, questo gruppo di paesi chiede ad Assad di farsi da parte, quando per oltre due anni il Presidente alawita è stato corteggiato ed incoraggiato a riconoscere Israele e a rompere le relazioni privilegiate che la Siria baathista intrattiene con Hezbollah in Libano e con l’Iran … Se Assad avesse acconsentito ad esaudire le richieste di Hilary Clinton e quelle di Ankara, che chiedeva l’ingresso di 3-4 Ministri appartenenti alla fazione dei Fratelli Musulmani nel Governo, l’azione di destabilizzazione sarebbe già stata interrotta. Allo stesso tempo ormai la crisi siriana si è talmente internazionalizzata che non potrà avere fine senza che prima si arrivi ad una prova di forza (diplomatica o meno) tra le potenze eurasiatiche guidate da Russia e Cina (le quali avanzano la tesi di un mondo multipolare) e gli Stati Uniti d’America (che pretendono di guidare il pianeta secondo i loro principi). Quanto pericolosa sia l’attuale situazione di tensione per la pace mondiale è ormai evidente a tutti.
La Siria era un paese, (almeno così risulta dal racconto di padre Paolo Dall’Oglio, missionario gesuita cacciato dalla Siria, che è stato recentemente in Trentino), un luogo dove vivevano abbastanza pacificamente cristiani e mussulmani. Crede che si possa tornare indietro?
Effettivamente, anche in base alla mia esperienza personale, la Siria è sempre stata una nazione nella quale convivevano pacificamente le diverse componenti religiose presenti nel paese e questa è una delle ragioni per le quali tutte le minoranze (dai cristiani ai curdi) nell’attuale crisi si sono schierate nella loro quasi totalità dalla parte del Governo di Assad. Una delle ragioni dell’aggressione esterna subita da Damasco risiede proprio nella visione strategica del suo Presidente, che il 1 agosto 2009 proclamò solennemente: “Una volta che lo spazio economico tra Siria, Turchia, Iraq e Iran sarà integrato, potremo collegare Mediterraneo, Mar Nero, Caspio e Golfo Persico, non saremo importanti solo nel Medio Oriente ma diventeremo un passaggio obbligatorio nel mondo per gli investimenti, i trasporti e altro ancora”. Il 26 luglio 2011, in effetti, Iran, Siria ed Iraq firmarono un importante accordo denominato “Gasdotto islamico”, della lunghezza di circa 6.000 km, per trasferire 120 milioni di metri cubi di gas naturale dal South Pars (il più grande giacimento del mondo che si trova in Iran) all’Europa passando dal Libano e dalla Grecia. Come si può notare rispetto alle intenzioni proclamate da Assad nel 2009 nell’accordo manca la Turchia … che ha preferito schierarsi dalla parte dei paesi sunniti (gli Emirati petroliferi del Golfo) in quella che le forze eterodosse wahabite e salafite finanziate da Riyad intendono come un regolamento di conti nei confronti del mondi islamico sciita. Ankara vede nella “primavera araba” evocata da Obama la possibilità di assumere un ruolo di potenza regionale in Medio Oriente, aggregando a sé tutte quelle forze che, come i Fratelli Musulmani in Egitto e in Tunisia, cercano di coniugare l’Islam con il libero mercato, i principi della “democrazia occidentale” e la non ostilità ad Israele. Un calcolo che tuttavia, allontanando la Turchiaa Russia e Cina, rischia di trascinare nel baratro l’intero progetto strategico intrapreso alcuni anni fa da Erdogan e dal suo Ministro degli esteri Davutoglu, basato sulla dottrina geopolitica “zero problemi con i vicini”. Questa tensione si riflette naturalmente anche in Siria, dove la Fratellanza musulmana (sunnita) controlla buona parte dell’opposizione ad Assad racchiusa nel Consiglio Nazionale Siriano (CNS), una fazione politica strettamente allineata all’Arabia Saudita, al Qatar e alla famiglia Hariri (che possiede anche il passaporto saudita) in Libano.
’Italia a suo avviso può svolgere un qualche ruolo per risolvere questo momento drammatico per il popolo siriano?
L’Italia avrebbe sicuramente potuto svolgere un ruolo positivo per contribuire a risolvere pacificamente la questione siriana se solo si fosse allineata alle posizioni diplomatiche sostenute da Mosca, da Pechino e da altri paesi del BRICS, anche in virtù degli stretti legami economici e culturali che legano storicamente Roma a Damasco. Invece l’Italia di Monti e di Terzi ha preferito ancora una volta seguire pedissequamente le direttive atlantiste arrivate da Washington, contribuendo addirittura all’addestramento dei ribelli siriani in Turchia e pagando un duro prezzo in termini di bilancia commerciale a causa delle sanzioni economiche comminate al Governo di Damasco. Questo patetico allineamento, giustificato come al solito dalle necessità “democratiche” e dalla propaganda massmediatica portata avanti sia dai mezzi di comunicazione occidentali sia dalle tv arabe “interessate” come Al Jazeera ed Al Arabiya, ignora volutamente il massiccio sforzo riformistico intrapreso dal Governo di Assad già dal 2011, per conferire tramite una riforma costituzionale maggiori poteri al proprio popolo. La situazione di tensione bellica nel Mediterraneo non potrà che aggravare anche la situazione sociale dell’Italia, la cui credibilità internazionale è stata scossa profondamente dalla crisi libica e dal tradimento operato nei confronti di Gheddafi. I frutti di quel “capolavoro” diplomatico forse sono oggi visibili alla maggior parte dell’opinione pubblica …
Dopo il veto di Russia e Cina dello scorso agosto, la comunità internazionale farà altri passi?
La soluzione alla crisi siriana non può che essere diplomatica, pena il rischio dello scatenarsi di una Terza Guerra Mondiale. Ma quali possono essere i paesi legittimati ad una nuova azione di mediazione internazionale? Non certo quelli che addestrano quotidianamente i “ribelli” o che destabilizzano da oltre un anno la Siria con gli attentati confezionati dai propri servizi segreti. Mi pare ovvio che solo un’azione diplomatica alternativa messa in campo ad esempio dalle nazioni del BRICS possa sperare di ottenere risultati positivi. Per fare questo occorre mettere fuori gioco tutte quelle forze che si oppongono alla soluzione pacifica delle controversie in Medio Oriente, il cui principale fattore di instabilità risiede innanzitutto nella mancata risoluzione della questione palestinese. Un nuovo processo di pace internazionale deve quindi collegare la crisi siriana a quelle attualmente in corso in altri paesi, basti pensare all’Iraq, dando spazio agli attori regionali effettivamente interessati alla pace; questo necessita anche il riconoscimento dell’Iran a detenere energia nucleare a fini civili.
Qual’è il ruolo di Israele in tuta la vicenda?
Il processo di “balcanizzazione” della Siria e, più in generale del Medio Oriente, rappresenta da sempre uno degli obiettivi più importanti perseguiti da Israele. La Siria di Bashar Al Assad è uno dei maggiori avversari dello Stato sionista, molto di più della retorica “islamista” dei Fratelli Musulmani o dei gruppi salafiti e wahabiti, che dopo l’uccisione “provvidenziale” di Osama Bin Laden sono stati mobilitati proprio in funzione anti-libica e anti-siriana. Certo il ricorso alla manovalanza “islamista” finanziata dai Saud e dall’Emiro del Qatar impone a Tel Aviv di mantenere un profilo “basso” e di non esporsi eccessivamente, ottenendo in cambio di spaccare anche il fronte palestinese che si trova ora senza lo storico sponsor siriano. Sia il massacro di Gaza nel 2009, che quello operato a bordo della Freedom Flottilla l’anno successivo, hanno consentito ad Ankara e a Doha di elevarsi nel mondo arabo a paladini della causa palestinese ma la loro opposizione ad Israele è stata solo una finzione mediatica. Attualmente i “ribelli” siriani vengono equipaggiati con armi provenienti dalla Libia tramite un ponte aereo tra la capitale del Qatar (Doha) e la città di Antalya in Turchia, con rifornimenti israeliani di missili anti-carro all’ELS. D’altronde dopo la sconfitta subita contro Hizbollah nel 2006, Tel Aviv aspira alla rivincita e teme notevolmente l’alleanza militare Siria-Iran-Libano divenuta ufficiale nel febbraio 2010, uno schieramento al quale potrebbe presto aggiungersi presto l’Iraq filosciita. Ecco perché Israele è dovuto passare alla controffensiva, sia manipolando gli avvenimenti libanesi (uccisione dell’ex premier Rafic Hariri) sia sostenendo i gruppi militari che combattono contro Assad.
Ma la Siria per tradizione antica, era terra di “convivenza” tra varie religioni. Cosa è cambiato?
“Non si deve semplificare ed avere un atteggiamento “manicheo” – ci ha risposto Villani, che ni Siria c’è stato recentemente – ho potuto constatare di persona, parlando con la gente in Siria, che le persone hanno più paura dei ribelli che del regime. Che certamente è pesantemente burocratico e corrotto. Ma che fino a qualche tempo fa aveva permesso la convivenza pacifica delle minoranze. Pensiamo solamente che il ministro della difesa ucciso in un attentato, Dawoud Rajiha era un cristiano ortodosso, anche se i cristiani rappresentano solo il 10% della popolazione. Sullo sfondo della attuale situazione c’è uno scontro tra islam sunnita e sciita. Ma gli sciiti nel governo di Assad, sono della corrente alawita, non dei fondamentalisti, e permettono la convivenza di più correnti reilgiose anche alla guida del governo. Sono molto più “chiusi” i sunniti dell’Arabia Saudita dove non è possibile nemmeno portare un crocefisso al collo”.
Fonte: http://www.albertopiccioni.org/2012/09/siria-in-fiamme-il-gioco-sporco-di-tutte-le-parti/