Boga Sako Gervais, presidente del FIDHOP (Fondazione Ivoriana per i diritti dell’uomo e la vita politica) ed esule ivoriano, ci propone un saggio indubbiamente interessante (La guerra d’Abidjan. Un conflitto da evitare, Anteo Ed. 2012), anche se ricco di diversi interventi “soggettivi” e di “denuncia” che evadono l’analisi geopolitica e sociale della tematica trattata.
Il professor Boga Sako guida il lettore negli eventi della crisi ivoriana seguita alle elezioni del dicembre 2010, senza trascurare le principali controversie giuridiche nate dalla proclamazione del vincitore del secondo turno elettorale: mentre il presidente della Corte Elettorale Indipendente in modo molto ambiguo proclamava Ouattara nuovo Presidente della Repubblica Ivoriana, la Corte Costituzionale dava comunicazione della riconferma di Gbagbo alla guida del paese (3 dicembre 2010). Una controversia alquanto strana ed inusuale, nonché incostituzionale, che vede successivamente un riallineamento della stessa Corte Costituzionale alle decisioni della Corte Elettorale Indipendente. L’illegittimità di decisioni prese sotto la pressione di organi internazionali conduce il paese nel caos e in una reale guerra civile. Gbagbo difende la propria presidenza barricandosi nella capitale Abidjan, mentre le Forze Nuove (truppe ribelli al servizio di Ouattara) procedono dal nord del paese verso il sud, pronte ad assediare Gbagbo e i suoi fedelissimi. Ma, come in Libia, sono ben altre le forze a spingere l’ondata sovversiva: le truppe francesi (La Licorne) cooperano con i ribelli. A differenza dei conflitti di Tripoli, però, il sostegno è più che palese ed “ufficiale”. La Francia, con il benestare statunitense, pretende il rispetto di una “sua democrazia” in terra ivoriana. L’ex colonia ha bisogno (?) della Francia così come l’economia francese ha un vitale bisogno della Costa D’Avorio.
Partendo da tale presupposto, il Professore Boga Sako ci illustra la strumentalizzazione di organismi internazionali “indipendenti” e “super partes” come l’ONU e il CPI (Corte Penale Internazionale), prontamente utilizzati come mezzi destabilizzanti da parte della cosiddetta “comunità internazionale”.
In tutto ciò si palesa l’impalpabilità dell’Unione Africana, incapace di difendere la propria autonomia e competenza dagli interessi neocoloniali. In tal modo si evince un ritardo politico ed istituzionale dell’intero continente africano, ancora condizionato da giochi politico-economici estranei ai confini continentali.
Teatro di tutto ciò, come detto, sono la Costa D’Avorio e la sua popolazione, che vedono acuirsi una crisi nata nel 2002, ma esplosa nel 2010 e perdurante ancor oggi. Migliaia di vittime sono il conto da pagare per una Nazione che dovrà ricostruire la propria identità politica e sociale e che dovrà lottare per riacquisire la propria libertà e la propria democrazia. Ovviamente (come avviene anche in Siria) dalla violenza si genera violenza e così a macchiarsi del sangue innocente sono sia le truppe al seguito di Ouattara sia i fedelissimi di Gbagbo.
L’autore del saggio cerca di mantenere una prospettiva d’analisi il più imparziale possibile, ma è comprensibile che a tratti si lasci trasportare da commenti soggettivi (ci riferiamo soprattutto alla descrizione di alcune immagini riportate nel testo), i quali tuttavia non compromettono l’obiettività dell’intera opera.
*William Bavone – laureato in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi del Sannio (Benevento) è Segretario Scientifico e responsabile dell’area latinoamericana del CeSEM (Centro Studi Eurasia Mediterraneo). Collabora con la rivista di studi geopolitici Eurasia, con il periodico online Clarissa.it, con il blog argentino di geopolitica con-ciencialatinoamericana.blogspot.com.ar ed ha collaborato con la rivista “Africana” – rivista fra i soli quindici periodici italiani consultati dall’Index Islamicus dell’università di Cambridge.